4° capitolo – Campo Profughi

Dopo una notte insonne, alle ore sei la campanella, prima sveglia sul suolo italiano, a casa “nostra, la nostra Patria”, tutti in piedi, una rinfrescata nell’abbeveratoio di quella stalla dove avevo dormito, acqua gelata, subito dopo a ritirare la colazione, una tazza di latte e caffè, cubetto di marmellata e una fetta di pane a testa. Nella mattinata ci vengono assegnate le camere, erano camere di varie grandezze, una camera a famiglia. La nostra era una camera di dimensioni medie essendo il nostro un nucleo numeroso formato dai miei genitori, mia nonna materna e zia materna, mio cognato, mia sorella e un mio nipotino. Camera arredata con soli letti, un paio a castello e alcuni normali singoli con relativi materassi e cuscini tutti imbottiti di paglia, alcune coperte dell’esercito e in un angolo un tavolo con quattro sedie, questa era la nostra “suite” . In un angolo della camera vi era un quadrato di pavimento di quaranta per cinquanta centimetri circa dove non ci si poteva camminare sopra perchè era a pericolo crollo, al piano di sotto. Servizi igienici formato da wc e lavandino, uno a piano, che doveva servire per alcune decine di persone.

Il giorno successivo ci vengono consegnati i bagagli, le due valigie, mentre i bauli si erano ridotti da due ad uno perchè a Napoli, durante le operazioni di sbarco, una fune che serviva per lo scarico si era spezzata mandando in acqua tutto il suo carico tra cui c’era anche uno dei nostri due bauli. “Fortuna saltami addosso”. Tutto sommato, sempre per accontentarsi del bicchiere mezzo pieno, almeno avevamo un tetto sulla testa e di positivo che quella camera aveva una grande finestra con una splendida vista sul golfo di Bari. Tutte le sere ci divertivamo a contare i pescherecci che uscivano dal porto e andavano al largo a pescare, ma anche quante lacrime dietro a quella stessa finestra per motivi vari, non certamente di gioia ma di rabbia, di sconforto, di ricordi, di preoccupazioni per quello che il futuro ci poteva riservare, certo peggio di cosi non poteva andare. Ci siamo rimasti alcuni mesi, il vitto si ripeteva di continuo, ogni tanto mia madre si recava fuori dal campo ad acquistare qualcosa per poter quel giorno cambiare menu, che più fisso di cosi non poteva essere. Una domenica mio padre passando davanti ad un peschereccio appena rientrato nel porticciolo vede che a bordo ha un carico di cozze bellissime e decide di acquistarne, anche per cambiare per quel giorno menù , ne acquista un paio di kilogrammi e una volta arrivato in camera e prima ancora che mia mamma li mettesse a cuocere, ne prendo una e la mangio cruda condita con qualche goccia di limone, come ero solito fare in Tunisia. Nel pomeriggio comincio a stare male e la sera ho già oltre trentotto gradi di febbre, il giorno successivo viene chiamato il medico del campo e lo stesso ci consiglia di chiamare l’ambulanza per il ricovero immediato, mi era stato riscontrato il tifo. Vengo ricoverato presso l’ospedale di Bari, trasferito immediatamente in isolamento per trenta giorni, tutti i giorni vedevo i miei cari che mi venivano a trovare, dietro una finestrella, non potevo mangiare niente ma quello era il minimo, venivo alimentato tutti i giorni con delle flebo a cui stavo attaccato mediamente dodici ore al giorno. Vengo dimesso dopo quaranta giorni, avevo perso oltre ventisette kili. Dicono ”Finchè cè vita cè speranza”.

La nostra giornata tipo;

Al mattino un incaricato per ogni famiglia si recava nella cucina a fare la fila con tegami in mano a ritirare la colazione per tutti i componenti della propria famiglia.

A mezzogiorno di nuovo in fila e cosi anche la sera. Una volta ritirato il pasto, si tornava nella propria “abitazione” a consumarlo.

Le condizioni del campo erano che non si poteva lasciare definitivamente il centro se non dopo aver presentato alla direzione del Centro stesso, il contratto di lavoro e contratto d’affitto.

Per quanto riguarda la mia famiglia, il più giovane “adulto” era mio cognato, che dopo alcuni giorni del nostro arrivo lascia il campo e viene a Bologna a sue spese, dove abita già una sua sorella, ma questo non era possibile a tutti, viste anche le condizioni economiche in cui tanti di noi versavano. Eravamo rientrati asciugati di tutto, perchè dalla Tunisia al momento dell’imbarco venivamo controllati dalla testa ai piedi affinchè nessuno portasse fuori dal paese del denaro, pena la confisca. Malgrado i controlli qualcuno cè riuscito preparando a tavolino un piano prima dell’imbarco, alcuni esempi, nascondendo le banconote all’interno di una torta, banconote in una busta di plastica immersa dentro ad un bidoncino d’olio, all’interno del bavero di un cappotto, nei risvolti dei pantaloni, nei reggiseni, nelle mutande, ecc ecc . C’era tanta gente che non aveva nemmeno quelle poche migliaia di denaro e una volta raggiunto il Centro Profughi, proprio per quel motivo, non erano nelle condizioni di potersi recare in giro per l’Italia a cercare lavoro ed erano destinati a restarci chissà fino a quando…

 

Leggi il capitolo 5°. Torna al 3° capitolo se ancora non l’hai letto.

2 Risposte a “4° capitolo – Campo Profughi”

  1. Ciao Beppe.
    Conosco molto bene questo campo ex caserma di Bari ci siamo passati noi il 30 ottobre 64 visto che era un grand hotel dopo 2 giorni il tempo di monetizzare 2 ac della banca naz del lavoro con mia sorella siamo andati via verso Milano da una sorella di mamma. Non ti dico il casino che e successo quando si sono accorti che mancavano 2 profughi alla sera mio padre ha risposti che eravamo profughi ma non carcerati …..storia lunga però vedo che non ti sei fatto mancare niente cozze a gogo e cosi manca poco ci lasci le penne oggi si ride però solo noi sappiamo cosa abbiamo mandato giù rospi ed altro, per fortuna dopo poco alla volta ce l abbiamo fatta

    1. Ciao Beppe, era proprio un bel hotel cinque stelle, completo di tutto dal vitto all’alloggio, ottimo rapporto qualità/prezzo, che dire sull’accoglienza quando leggo ora come vengono difesi questi che arrivano, ma probabilmente forse perchè noi eravamo italiani e anche in pochi, alla politica non interessavano i nostri voti e preferisco non aggiungere altro poi avrete modo di leggere nelle prossime puntate come la penso io ora a distanza di alcuni decenni e con la mente serena..un caro abbraccio “fratello”..

I commenti sono chiusi.